Werner e Bruno

Werner e Bruno. Il critico cinematografico Bruno Fornara, selezionatore della Mostra del Cinema di Venezia, parla di due singolari e rurali lavori di Herzog.


La Soufrière – Warten auf eine unausweichliche Katastrophe (In attesa di una catastrofe inevitabile), Germania 1976

Regia e voce narrante: Werner Herzog. Fotografia:Jörg Schmidt-Reitwein, Edward Lachman. Montaggio:Beate Mainka-Jellinghaus. Musiche:Sergej Rachmaninov, Concerto per pianoforte e orchestra n. 2; Felix Mendelssohn: Romanza senza parole, op. 30, n.1; Johannes Brahms: Ninnenanne per i miei affanni, Intermezzo op. 117, n.1; Richard Wagner: Il crepuscolo degli dei, Marcia funebre.
Nel 1976, l’isola della Guadalupa, nelle Antille francesi, viene evacuata: si prevede un’eruzione esplosiva e catastrofica del vulcano la Soufrière. Un contadino si rifiuta di andarsene. Werner Herzog viene a sapere la notizia, parte con un operatore e un fonico. La voce di Herzog commenta le immagini, racconta la storia dell’eruzione del vulcano Pelée, sulla Martinica, nel 1902, con quasi 30.000 morti, due soli sopravvissuti: uno era un ladro! Herzog incontra l’uomo restato sull’isola, è tranquillo, non possiede nulla, non saprebbe dove andare. Il tempo è sospeso, immobile. Si sale verso la cima del vulcano tra i vapori tossici.
La natura è forza, cecità, onnipotenza. Gli uomini sono fragili e affrontano la natura fino a una conclusione inaspettata. Cos’è l’esistenza? Sfida? Accettazione? Herzog: «Per noi, le riprese per questo film hanno assunto un aspetto patetico, anche ridicolo». Una conquista inutile? Un’impresa insensata?


How Much Wood Would a Woodchuck Chuck – Beobachtungen zu einer neuen Sprache (Osservazioni su un nuovo linguaggio), Germania-USA 1976

Regia: Werner Herzog. Fotografia:Thomas Mauch. Musica:Shorty Eager and the Eager Beavers.
Un’altra America. Rurale, antica, premoderna. Quella degli Amish. Quella di una gara del tutto singolare. Il “World Livestock Auctioneer Championship”, dove ogni anno si affrontano i più bravi e spericolati banditori d’asta del mondo. Ai migliori offerenti vanno vitelli, mucche, tori. Ma la vera attrazione sono i banditori dalla lingua sciolta e velocissima, dal linguaggio mirabolante, dai gesti precisi, dagli sguardi saettanti. Il titolo originale del film di Herzog è il primo verso di uno scioglilingua: Quanto legno rosicchierebbe una marmotta… Secondo verso: …se la marmotta rosicchiasse del legno?
Herzog ha girato ogni angolo del globo in cerca di sorprese, imprese, persone vere, luoghi incantati o infernali. Non ha mai fatto il turista, ha sempre rifiutato il pittoresco: ha fatto l’osservatore partecipante, è andato a incontrare gli altri, è restato con loro per capirli. In Pennsylvania, a New Holland, si lascia catturare dal suono e dal linguaggio dei banditori di bestiame, dalla loro sfrenata e delirante energia, da quella fila ininterrotta di numeri che sono le offerte degli allevatori che diventano una specie di melodia matematico-favolistica. Uno spettacolo avvincente che mescola economia, velocità, musicalità, anche poesia surrealistica. Siamo nell’America delle praterie e dei boschi, dove si canta “Take me home, country road”, dove gli Amish rifiutano ogni tipo di lotta e competizione e vendono i loro dolci. Herzog ha definito quello dei banditori «un linguaggio estremo, bello e spaventoso allo stesso tempo». E ha detto di questo suo lavoro che è “un film sugli ultimi giorni della poesia”.

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